«Una vita ricca con i mezzi più semplici» è stato il motto che ha guidato la lunga esistenza di Naess (1912-2009), significativo rappresentante del pensiero ecologico. I «mezzi semplici» di cui egli parla sono tutte le cose viventi che lo circondano e che in qualche modo, attraverso un processo di identificazione, estendono l’àmbito del proprio io e del proprio sé e costituiscono il Sé ecologico. L’ambiente non sarebbe, per quanto distinto da noi, qualcosa di esterno a noi, bensì una parte di noi che ci modifica. La prioritaria cura degli esseri umani con cui siamo in relazione dovrebbe essere perciò estesa agli esseri non umani, nessuno escluso. «L’individuo», afferma Naess, «acquista consistenza solamente all’interno di un contesto relazionale che continuamente lo nutre e lo genera». Organismi viventi e persone non si possono conoscere come qualcosa che può essere isolato dal proprio ambiente. È merito di un giovane studioso italiano, Luca Valera, attualmente professore di Bioetica ed Etica applicata nell’Università cattolica di Santiago del Chile, già autore di Ecologia umana. Le sfide etiche del rapporto uomo/ambiente (vedi «Studi cattolici», 643, 2014, pp. 606-609), l’introduzione e traduzione in italiano di alcuni testi di questo importante filosofo norvegese (Arne Naess, Introduzione all’ecologia, ETS, Pisa 2015, pp. 220, euro 22). Naess, pur avendo pubblicato studi di logica, di epistemologia, di etica ecc., si definiva «un filosofo della vita» in quanto ha dedicato dedicato buona parte della sua lunga esistenza a diffondere e testimoniare una filosofia intesa come una particolare forma di sapienza dell’armonia e dell’equilibrio ecologico, chiamata da lui ecosofia. Scienza dichiaratamente normativa e «profonda», a differenza di tante ecologie superficiali, perché contraddistinta dalla ricerca delle reali cause di un fatto o di un’affermazione. Il Naess, senza formare per espressa sua volontà una scuola, ha molto ispirato il movimento ecologico in ogni parte del mondo, oltre che costituire con il suo pensiero la base di molti studi e ricerche di ecologia.
1. Profondità di intenzione
Per ecologia «profonda» egli intende un’ecologia filosoficamente fondata su una rilettura profonda dell’esperienza, in quanto è proprio della filosofia tentare di fornire un’adeguata spiegazione ai problemi fondamentali della nostra vita. Valera, nella sua introduzione, si sofferma ad analizzare il tema della «profondità», capitale nella filosofia di Naess, da intendere in un senso gnoseologico, lontano da qualunque idea relativista o soggettivista della verità. Il fatto che si acceda a differenti livelli di realtà è una conseguenza del nostro modo di interrogare la realtà. La «profondità » che connota il movimento ecologico è meglio definibile, con parole di Naess (che predilige un approccio fenomenologico alla realtà), come «profondità di intenzione». Si tratta di giungere con la nostra interrogazione profonda alle premesse ultime che sostengono le conclusioni pratiche e politiche. Occorre restituire all’esperienza spontanea, nella sua integrità e ricchezza, la profondità che si merita in modo di comprendere appieno il mondo di cui facciamo parte. Naess denominò la sua particolare visione ecologica «Ecosofia T». Considerava molto importante che ognuno abbia una relazione particolare, un senso di appartenenza, in termini heideggeriani, a modo di dimora, con il proprio territorio, con una propria casa in senso ampio. Per Naess questa casa erano le montagne norvegesi, e in concreto la Tvergastein, dove costruì ancora giovane una baita nella quale trascorse una buona parte della sua vita. C’è da sottolineare che nell’Ecosofia T (si veda il breve capitolo «L’arroganza dell’antiumanesimmo», pp. 123-125) non ci sono, come invece accade in alcune ideologie ecologiche, tracce di antiumanismo né di tecnofobie, ma sì un superamento dell’antropocentrismo e un rifiuto della tecnologia come definitiva soluzione miracolistica di ogni problema. Per Naess, la protezione della natura selvaggia va percepita come una protezione di noi stessi. La vera soluzione è etica e risiede in un cambiamento umano di stile di vita al riparo dall’arrogante indifferenza nei confronti della natura. Come ricorda Valera, Naess segue la tradizione occidentale quando denuncia con Aristotele che troppo spesso gli umani non vivono «secondo natura», tradendo così la propria forma di vita. L’implicita ispirazione aristotelica del Nostro diventa più manifesta nei due cardini della sua etica: l’inclinazione naturale e la gioia che accompagna ogni azione buona. Una vita buona non può non essere gioiosa.
2. “Amato” Spinoza
Dispiace che l’ancoraggio filosofico di questo Autore sia fortemente panteista. L’uso della maiuscola è riservata a Natura e Terra senza che mai, mi sembra, compaiano, nemmeno in minuscola, le parole Creazione, Creatore. La parola Dio è citata per giustificare il Dio immanente (Deus sive Natura) e difendere Spinoza di fronte a quei correligionari ebrei che lo accusarono di essere un ateo diabolicamente intelligente. Ciò non toglie che sia utile conoscere il pensiero di Naess, ben diverso da quello degli ambientalisti radicali, e far tesoro di tante sue considerazioni e proposte che possono assicurare uno sviluppo sostenibile del progresso tecnico-scientifico. Le prime ricerche filosofiche di Naess sono segnate dal suo soggiorno giovanile a Vienna, dove frequenta il ben noto Circolo neopositivista, allo stesso tempo che scala le montagne austriache, prende lezioni di piano e si sottopone a sei sedute settimanali di psicoanalisi con il dott. Hittschmann. Ma ben presto il neopositivismo del Circolo viennese gli diventa stretto. Per Arne Naess, molto amante delle diversità culturali e conoscitore di molti linguaggi e logiche, sono altri i pensatori da cui trarrà ispirazione. Per quanto riguarda la sua metodologia filosofica, Husserl, ma soprattutto Baruch Spinoza, nel quale afferma di aver trovato un sistema filosofico onnicomprensivo che parte dall’idea di Dio come Natura. Infatti due suoi studi, «Spinoza e l’ecologia» e «Spinoza e il movimento dell’ecologia profonda», raccolti da Valera, stanno a dimostrarlo: «Nessun altro grande filosofo», afferma Naess, «ha tanto da offrire sulla via della chiarificazione dei comportamenti ecologici essenziali». Egli paragona spesso la visione di Spinoza con le filosofie orientali, soprattutto buddhiste; infatti, il pensiero di Gandhi è un’altra sua fonte di ispirazione per niente marginale. Valera mette in risalto la critica di Naess alla visione della natura che sta alla base dello sviluppo della scienza moderna (Cartesio, Bacone, Galileo), colpevole di aver ridotto la natura a una riserva di risorse inerti affinché l’uomo potesse, una volta conosciute le sue «strutture astratte», utilizzarla a proprio piacimento. «Si comprende così», conclude Valera, «il motivo del ritorno a Spinoza operato da Naess». Ci sarebbe però da chiedersi come mai, se ritorno doveva essere, non sia andato ancora un po’ più indietro nei secoli per fermarsi a Tommaso d’Aquino e ad Aristotele, che egli dimostra di conoscere. Forse soltanto attraverso Spinoza? La scelta però di Naess fu consapevole. Infatti, dichiara espressamente che l’Etica di Spinoza, se paragonata a quella di Aristotele e Tommaso d’Aquino, è per l’ecologia una «risorsa unica». Questi presupposti panteisti non tolgono del tutto valore al pensiero di Naess; molto valide sono le sue considerazioni sugli stili di vita, che possono portare a equilibrare le società post-industriali, i quali meritano il nostro consenso a livello di operatività sociale e politica, con una grave riserva soltanto per quanto riguarda il suo malthusianesimo. Ne faccio una sommaria enunciazione.
I. Con la sua originale definizione del Sé ecologico, ricorda Valera, Naess si propone di superare la dicotomia io/tu, che nega la possibilità di riconoscere l’altro come parte del proprio sé, eliminando così ogni frattura e ogni «naturale ostilità». Il processo di identificazione con l’altro non significa l’annichilimento dei confini dell’io, bensì un’operazione di maturazione del sé che dà la possibilità di trovare «riposo in sé stessi» e la capacità di essere autodiretti. Il sé per compiere tutte le sue potenzialità ha bisogno dell’altro e perciò viene impedita l’autorealizzazione se l’autorealizzazione degli altri, con i quali ci identifichiamo, viene ostacolata. Con la parola «autorealizzazione » Naess intende affermare che l’uomo ha un programma da portare a termine, un «fine ultimo», che coincide con lo sviluppo delle sue potenzialità (siamo ancora ad Aristotele).
II. L’uomo non è un «qualcosa posto in un ambiente», la sua realizzazione dipende dalla realizzazione dell’intero della natura. Gli uomini non hanno il diritto di ridurre la ricchezza e la diversità delle forme di vita tranne che per soddisfare i loro bisogni vitali. Allo stesso tempo, «la lotta per l’espressione della propria natura non implica inevitabilmente », sono parole di Naess, «un comportamento di dominazione ostile sugli altri esseri, umani o non umani». Quando viene lanciata una campagna «Lasciate vivere il fiume», l’obiettivo è molto più ampio di quello di proteggere un fiume dall’inquinamento industriale, ma si dà forma a strategie di conservazione di risorse vitali per la popolazione e quindi per mantenere un grado di sviluppo sostenibile. I Paesi industriali, a discapito del motto crescita economica, «occorre che si percepiscano come Paesi in sviluppo», s’intende sostenibile.
3. Gioia e bellezza ecologiche
III. Ritengo molto significativo lo studio «Il posto della gioia in un mondo di fatti» (pp. 85-96), dove Naess afferma: «Spesso gli ambientalisti si arrendono a una vita priva di gioia che contraddice il loro interesse per un ambiente migliore», incrementando in tal modo «la già alquanto incombente mancanza di gioia che riscontriamo tra le persone socialmente responsabili e di successo, il che tende a minare uno dei principali presupposti del movimento ecologico: la gioia è correlata all’ambiente e alla natura ». I valori dichiarati a parole, continua il filosofo norvegese, devono essere espressi in stili di vita da coloro che li propagandano: «La gioia è contagiosa». Il fatto che molti ambientalisti abbiano voltato le spalle a carriere più redditizie e sicure non basta, come non basta adoperarsi per un ambiente migliore che è solo un valore strumentale. A costo di essere considerati dei cinici superficiali, non ci sono buone ragioni per essere tristi a causa delle miserie del mondo o dell’ecocatastrofe più vicina. Il rimedio per contrastare la tristezza è agire, e qui il Nostro trova il suo amato Spinoza in compagnia, questa volta, «di Tommaso d’Aquino e di altri». Misurandosi con i filosofi più influenti del nostro tempo, Naess afferma di prediligere Jaspers e Whitehead a Heidegger, Marx e Nietzsche. Si guadagna l’allegria, interagendo con la miseria estrema, in maniera diretta, o indirettamente utilizzando le nostre posizioni privilegiate nella società. A questo punto il filosofo norvegese ci riserva una bella sorpresa che egli attribuisce a Spinoza, ma che si trova in una precedente e lunga tradizione filosofica. «Tendiamo a dire “il mondo dei fatti”, ma la separazione del valore dai fatti è essa stessa data da una sopravvalutazione di alcune tradizioni scientifiche». La realtà non è né meccanica né valorialmente neutra né tantomeno vuota di valori. La frattura tra i due mondi, il mondo dei fatti e il mondo dei valori, può essere oltrepassata situando la gioia e altri fenomeni cosiddetti soggettivi all’interno di un campo totale unificato di realtà. Quanto basta per interrompere un’acritica accettazione della fallacia naturalistica di David Hume. Naess non manca di affermare la concezione oggettivista del valore; infatti, egli non considera la gioia semplicemente come qualcosa che accompagna il passaggio da una perfezione minore a una maggiore.
IV. Il tema della gioia è completato da Naess con quello della bellezza, a cui è dedicato un altro studio raccolto puntualmente da Valera: «Una bella azione: la sua funzione nella crisi ecologica » (pp. 97-104). Il Nostro si affida a Kant, un filosofo con il quale confessa di non trovarsi del tutto al suo agio. Con più chiarezza avrebbe trovato ispirazione già nella filosofia greca che unisce il bello al buono, ma il filosofo norvegese non sembra comprendere che la bella azione mostra facilità, fino a sembrare «compiuta senza un lavoro faticoso», perché è un’azione virtuosa e quindi conforme alle inclinazioni della nostra natura. Le inclinazioni naturali, in primis quella al bene, sono nell’uomo, secondo l’etica aristotelico-tomista, «semi di virtù» alla base di un’etica delle virtù distinta dall’etica normativa del dovere di cui Kant è il massimo rappresentante. Comunque, fa piacere leggere: «L’atto bello è un atto moralmente completo, poiché è caritatevole. Un’azione caritatevole allarga il nostro amore fino ad abbracciare la totalità della vita. Ci completa e ci perfeziona». Ecologicamente parlando, occorre incoraggiare certe attitudini per compiere azioni positive, invece di appellarsi alla loro utilità enfatizzando le obbligazioni morali.
4. Le contraddizioni demografiche
V. Il rispetto per la Vita (con maiuscola) comprende la ricchezza e la diversità delle culture e delle sottoculture; l’uomo è costituito da un’armoniosa sintesi di natura e cultura. I cambiamenti causati dai Paesi industrializzati hanno danneggiato seriamente l’identità culturale, l’autostima e il rispetto di sé in molte aree nelle quali in precedenza fioriva una profonda varietà di culture. Naess dopo queste nobili affermazioni dimostra, purtroppo, di essere contagiato dal virus dell’ossessione demografica interrogandosi su «qual è la capacità di carico della terra per gli umani?». Domanda fortemente materialistica e di per sé poco umana. Nel dare la sua risposta egli mescola idee alquanto contraddittorie. Da una parte, ci sono frasi come: «Gli uomini hanno la priorità sui parchi naturali»; «si è dato per scontato che continuerà a essere la nuova tecnologia che permetterà di far crescere la popolazione umana gestibile». D’altra parte, egli afferma: «La distruzione della diversità culturale è in parte il risultato dell’eccesso di umani sulla Terra»; dobbiamo «incoraggiarci a pensare a come rendere possibile per ogni adulto di apprezzare la compagnia per tutta la vita e a curare i bambini piccoli, senza generarne altri, o solo uno o due». Curiosamente, non manca di segnalare che «esiste anche una visione ampiamente sostenuta per la quale, a eccezione che per un periodo di passaggio, la qualità della vita crescerà al posto di decrescere, negli standard materiali di vita dei Paesi ricchi», aggiungendo però che una decrescita materiale a livello universale è inevitabile. La conclusione di Naess non lascia luogo a dubbi: mantenere e risanare la ricchezza e la diversità della vita sulla terra richiede una popolazione significativamente più ridotta di 5 miliardi di persone; di conseguenza la riduzione della popolazione sarà una parte necessaria dello sviluppo sostenibile futuro. La prosperità della vita umana esige tale diminuzione. Viene da domandare a Naess: ma non basterebbe diffondere stili di vita ispirati al suo motto, «una vita ricca con i mezzi più semplici », perché non sia necessaria tale decrescita della popolazione? In conclusione, il pericolo che facilmente incombe su tutto il pensiero ecologico, di cui non è esente Naess, è quello di idolatrare Gaia, «il favoloso nostro vecchio pianeta», con tutti i suoi abitanti, ma con un numero limitato di umani. Meno male che, con umiltà intellettuale, Naess non considera la sua personale visione dell’ecologia profonda l’unica via per l’interpretazione del mondo e l’unica strada giusta per salvare e coltivare il grande «regalo di Gaia», e cioè il dono, diciamo noi cristiani, della terra che il Creatore ha affidato alla custodia dell’uomo.
Michelangelo Peláez
(Pubblicata su «Studi cattolici», 2016, pp. 621-624)